lunedì 7 novembre 2011

Faust e la fuggevolezza del cinema

Premetto che sto per fare una cosa scorretta. Vado a scrivere la recensione di un film di cui non ho capito un accidenti di niente. Forse però -a mia parziale scusante- questa non sarà una recensione, ma una riflessione sul non capire un accidenti di niente dei film. Non lo so ancora. Aspettiamo la fine del post.
L'anno scorso a Venezia ha vinto Somewhere, un film decisamente vuoto, ripetitivo e inguardabile da un punto di vista estetico. Quest'anno, la svolta. Un'opera profonda, coraggiosa, radicale, che sfida le leggi del mercato.
Sì, sono corsa a vedere Faust. Confesso di non aver letto il dramma originale (dopo Werther, ci vorrà un po' prima che riesca ad avvicinarmi di nuovo a Goethe). Magari mi avrebbe aiutata. In sostanza: delle due ore e passa mi sono goduta diverse belle immagini, il senso di oppressione palpabile di alcune scene (la migliore, la visita alla bottega dell'usuraio-diavolo), la deformità spiazzante del tentatore dal viso indifeso e mellifluo insieme, la solitudine del protagonista. Ma sono uscita dal cinema con niente in mano. Non dico una visione chiara e completa del messaggio, che spesso in opere così complesse sfugge agli autori stessi: neanche uno spunto di riflessione, una domanda rimasta in sospeso, niente. Se mi chiedessero cosa ho visto, non saprei rispondere.
Insomma, visto che di riflettere sul film non c'era modo (non avevo punti di partenza), mi è venuto da pensare a un problema più generale: cioè, a chiedermi se esistano contenuti inadatti al cinema. L'immagine cinematografica è fuggevole. In un solo momento devi cogliere il dialogo, la luce, i movimenti, le espressioni, la musica, l'inquadratura; e ricavarne quello che ne va ricavato. Alla fine questo è anche il suo bello: il cinema è uno strumento straordinario, un concentrato di tutte le arti. Ma bisogna essere pronti. Attenti e scattanti, come ci chiede la nostra società sempre di corsa. Non si può rileggere, né concentrarsi su un particolare. E' vero, se stiamo guardando un DVD si può pigiare rewind, ma siamo sinceri: quanti di noi lo fanno, quando non capiscono qualcosa? D'altra parte una storia va goduta, non siamo a un corso di cinematografia dove si decostuiscono i film.
Ecco, in opere come Faust bisognerebbe fermarsi a ogni inquadratura. Suppongo abbiano fatto così i critici che l'hanno osannato. Ma noi persone comuni, anche quando abbiamo voglia di riflettere, di solito andiamo al cinema per vedere un film; non per analizzarlo. Se i libri di Dostoevskij fossero film, si potrebbe o capirli o amarli. Non tutte e due le cose insieme.
Al momento la mia cultura cinematografica fa un po' acqua; tuttavia dal poco che ho visto finora ho ricavato l'impressione che la filosofia e il cinema non vadano troppo d'accordo. La prima richiede riflessione, il secondo è un flusso continuo -e arrestarlo è una forzatura. A meno che non si possa trasmettere la filosofia attraverso delle impressioni. E questa resta una questione aperta.

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