mercoledì 30 novembre 2011

Tutto quello che non so sulla frizione (e non solo)

Adattando la mia mente alla logica perversa dei quiz, a metà settembre sono stata dichiarata idonea a esercitarmi nella guida (continuo a non capire il collegamento tra i due fatti, ma non posso negare che la cosa mi abbia fatto piacere). Ora,al di là di un'infinità di errori che continuo a fare per distrazione, il vero grande mistero del mio apprendistato automobilistico è la frizione. Continuo a lasciarla troppo in fretta, premerla troppo tardi, alzarla quando la dovrei abbassare e sono del tutto incapace di armonizzarla con l'acceleratore. Per quello che può servire, almeno ho trovato l'origine del problema: il fatto è che non ho capito fino in fondo cos'è la frizione. La associo allo schema trascendentale di "affare che stacca il motore dalle ruote (nel tempo, s'intende)"; in discesa capisco il suo comportamento, in salita assolutamente no (il punto d'innesto è un dogma). Insomma, mi hanno spiegato come devo usare il pedale e mi attengo meccanicamente alle istruzioni; ma siccome non so cosa sto facendo, confondersi è facilissimo.
Ora, questo problema specifico è dovuto alla mia condizione di classicista semianalfabeta in fisica. Però mi ha spinta a riflettere su una questione più generale. Cioè, mi sto chiedendo quanto siamo padroni della nostra vita.
Sessant'anni fa, se a mio nonno si rompeva la falce, lui capiva cos'era successo e sapeva ripararla. La sua vita si basava su strumenti che conosceva, che spesso aveva costruito lui stesso. Almeno nell'ambito del suo lavoro, era del tutto autosufficiente. Solo in casi fuori dalla norma delegava una parte della propria vita a un personaggio esterno che ne sapeva di più: il dottore per una malattia, l'avvocato per una causa.
Mio nonno ha studiato fino alla quinta elementare; io arriverò a laurearmi (almeno spero); eppure affiderò il mio lavoro e parte della mia vita a strumenti che non conosco. Tutti sappiamo navigare su Internet, usare programmi, scaricare musica, mandare messaggi in tempo reale, parlare con qualcuno che sta dall'altra parte del mondo; eppure pochi di noi sanno cosa c'è dietro tutto questo. Il traffico di dati, la memoria, le onde radio: tutti concetti piuttosto vaghi -per non parlare di tutto ciò di cui non sappiamo nemmeno l'esistenza. Quello che ci appare come nostro in realtà è costituito da una serie di codici che non controlliamo e non conosciamo. C'è chi si è aggiornato, riesce almeno a capire con cosa ha a che fare, a risolvere i problemi più comuni. Ma è ancora una minoranza. Noialtri quando qualcosa non va veniamo colti da crisi isteriche, ci sentiamo impossibilitati a controllare la nostra vita, tentiamo strade a caso dopodiché chiamiamo un tecnico informatico.
Ma forse a pensarci bene la nostra vita è tutta un delegare: i figli alla baby sitter, i genitori alla badante, la colonna vertebrale alla maestra di yoga, i peli all'estetista, la cena ai surgelati. Eppure è tutta roba nostra. Più il progresso avanza, più le conoscenze diventano specifiche, meno ci rendiamo conto di quello che ci circonda.
Insomma, proporrei di uscire da questo stato di minorità e prendere il controllo se non altro di quello che riguarda direttamente le nostre vite. Io per prima. Se qualcuno ad esempio commentasse spiegandomi cos'è la frizione avrebbe la mia gratitudine eterna.

martedì 15 novembre 2011

E dopo?

Avevo deciso, in questo blog, di non parlare di politica: essendo la mia competenza molto approssimativa, e ancor più incerte e generiche le mie idee, preferisco non riempirmi la bocca di cose che non conosco. In questi giorni, però, penso che qualche riflessione venga spontanea a tutti. Soprattutto a quelli come me, che da bambini sentivano parlare di Tangentopoli al telegiornale e pensavano che c'entrassero i topi.
Siamo cresciuti in un Paese dove un solo uomo era dappertutto. Audace, teatrale, affaccendato, populista; per sua natura invadente. E dell'invadenza ha fatto il suo personale ideale.  Suoi i giornali, la televisione, il calcio, le imprese, le donne; sua la politica, anche quando non era al Governo; e, quel che è più importante, suo il dibattito. Non abbiamo mai conosciuto a destra e la sinistra, solo il berlusconismo e l'antiberlusconismo. E' diventato un po' la misura di tutte le cose; non mi viene in mente un altro politico, in democrazia, che abbia suscitato tanto entusiasmo e tanto odio personale.
Ora è finito. E' esploso come una supernova, ha negato l'evidenza finché ha potuto, si è spento. Si volta pagina, ci dicono. Sì, ma da cosa si comincia? Già di per sé la circostanza in cui ci ha lasciati è a dir poco difficile. C'è la crisi, non ci aspettano tempi divertenti. Ma c'è anche un altro problema.
In questi vent'anni la gente si è disabituata. Non si sa più cos'è una linea politica, cosa vuol dire governare, cos'è il pubblico e cosa il privato, cos'è la destra e cosa la sinistra. Ci è sconosciuta l'idea non dico del bene comune, che sarebbe chiedere troppo, ma anche solo del bene di qualcuno oltre a quelli seduti in Parlamento.
C'è chi se l'è dimenticato; figuriamoci noi che non abbiamo nemmeno avuto modelli di confronto. Da quando siamo nati tutto quello che abbiamo visto è stato: allearsi, disallearsi, contare i deputati, cercare la maggioranza, proporre leggi ad personam, contestare le leggi ad personam, discutere degli scandali sessuali, tagliare di qua, spendere di là, cambiare partito, fondare nuovi partiti, stappare la mortadella, affettare lo spumante, ancora discutere degli scandali sessuali.
Ora, dopo aver finito di rovinare questo Paese, ci dicono di salvarlo; ci raccontano che possiamo decidere il nostro futuro. Ma per quanto mi riguarda non so neanche cosa voglia dire. Forse qualcuno lo sa, speriamo.
Magari questo periodo di governo tecnico, in cui per forza di cose le riforme avranno la precedenza sui giochi politici, ci aiuterà a spurgarci, a recuperare o a trovare per la prima volta il senso delle cose; e forse entro le elezioni del 2013 qualcuno avrà costruito un progetto credibile per il "dopo".
Shelley scriveva:

                                                       O, Wind,
if Winter comes, can Spring be far behind?

Non so se è vero, ma mi piacerebbe tanto.

lunedì 7 novembre 2011

Faust e la fuggevolezza del cinema

Premetto che sto per fare una cosa scorretta. Vado a scrivere la recensione di un film di cui non ho capito un accidenti di niente. Forse però -a mia parziale scusante- questa non sarà una recensione, ma una riflessione sul non capire un accidenti di niente dei film. Non lo so ancora. Aspettiamo la fine del post.
L'anno scorso a Venezia ha vinto Somewhere, un film decisamente vuoto, ripetitivo e inguardabile da un punto di vista estetico. Quest'anno, la svolta. Un'opera profonda, coraggiosa, radicale, che sfida le leggi del mercato.
Sì, sono corsa a vedere Faust. Confesso di non aver letto il dramma originale (dopo Werther, ci vorrà un po' prima che riesca ad avvicinarmi di nuovo a Goethe). Magari mi avrebbe aiutata. In sostanza: delle due ore e passa mi sono goduta diverse belle immagini, il senso di oppressione palpabile di alcune scene (la migliore, la visita alla bottega dell'usuraio-diavolo), la deformità spiazzante del tentatore dal viso indifeso e mellifluo insieme, la solitudine del protagonista. Ma sono uscita dal cinema con niente in mano. Non dico una visione chiara e completa del messaggio, che spesso in opere così complesse sfugge agli autori stessi: neanche uno spunto di riflessione, una domanda rimasta in sospeso, niente. Se mi chiedessero cosa ho visto, non saprei rispondere.
Insomma, visto che di riflettere sul film non c'era modo (non avevo punti di partenza), mi è venuto da pensare a un problema più generale: cioè, a chiedermi se esistano contenuti inadatti al cinema. L'immagine cinematografica è fuggevole. In un solo momento devi cogliere il dialogo, la luce, i movimenti, le espressioni, la musica, l'inquadratura; e ricavarne quello che ne va ricavato. Alla fine questo è anche il suo bello: il cinema è uno strumento straordinario, un concentrato di tutte le arti. Ma bisogna essere pronti. Attenti e scattanti, come ci chiede la nostra società sempre di corsa. Non si può rileggere, né concentrarsi su un particolare. E' vero, se stiamo guardando un DVD si può pigiare rewind, ma siamo sinceri: quanti di noi lo fanno, quando non capiscono qualcosa? D'altra parte una storia va goduta, non siamo a un corso di cinematografia dove si decostuiscono i film.
Ecco, in opere come Faust bisognerebbe fermarsi a ogni inquadratura. Suppongo abbiano fatto così i critici che l'hanno osannato. Ma noi persone comuni, anche quando abbiamo voglia di riflettere, di solito andiamo al cinema per vedere un film; non per analizzarlo. Se i libri di Dostoevskij fossero film, si potrebbe o capirli o amarli. Non tutte e due le cose insieme.
Al momento la mia cultura cinematografica fa un po' acqua; tuttavia dal poco che ho visto finora ho ricavato l'impressione che la filosofia e il cinema non vadano troppo d'accordo. La prima richiede riflessione, il secondo è un flusso continuo -e arrestarlo è una forzatura. A meno che non si possa trasmettere la filosofia attraverso delle impressioni. E questa resta una questione aperta.