lunedì 26 marzo 2012

Enoikiazetai

Sì, è un momento strano per visitare la Grecia, anche in una gita scolastica di quattro classi stipate in pullman e prontamente dirottate dalle guide verso luoghi commerciali e rassicuranti (?). E' quasi impossibile non guardarsi intorno con un occhio sospettoso, alla ricerca di segni di disagio; e anche a non volerlo fare, i segni saltano agli occhi da soli.
Atene è aggrappata al turismo. Quella parvenza appena accennata di serenità e di benessere è tutta per i turisti; anche in centro, sopra ai negozi della catene multinazionali, ci sono piani e piani di uffici stretti e fatiscenti, pieni di vecchi schedari. In questa gita ho imparato due nuove parole: enoikiazetai e poleitai. Affittasi e vendesi: non so più quante volte le ho viste stampate sugli striscioni che pendono dai palazzi.
Si abbandonano gli edifici, e anche gli animali: Atene è piena di cani randagi che si godono le carezze dei turisti.
E' strano guardare le linee pulite e leggere delle grandi opere realizzate negli ultimi anni e pensare che in qualche misura hanno contribuito alla crisi, e quella bellezza si paga con lo squallore di tutto quello che c'è intorno. Abbiamo visto il ponte di Patrasso, esile e solido nello slancio che congiunge senza fatica la due sponde, e poi per chilometri case costruite a caso, senza un disegno unitario, faticosamente accostate le une alle altre, a volte non finite, a volte in rovina. Il grande stadio panatenaico costruito per le Olimpiadi del 2004; il museo dell'Acropoli, così bello che viene voglia di girarlo in su e in giù e scoprirlo sempre diverso da ogni angolatura e da ogni piano, fin quasi a dimenticarsi dei reperti che ospita (sono i marmi che gli inglesi non vollero, relativamente poca cosa rispetto a quelli del British Museum). L'antico e il moderno si conciliano in modo splendido, uniti dall'armonia e da una razionalità interiore, non insistita o cervellotica. Ma dalle grandi vetrate, oltre alla luce che fa brillare i marmi, entrano anche i palazzi abbandonati, a due passi.
Intanto le rovine stanno lì, con l'erba che gli cresce in mezzo (la primavera è forse la stagione più bella per visitare la Grecia, con i colori vivaci dei fiori contro il bianco del marmo). Una volta erano i luoghi della vita di tutti i giorni, dove si passeggiava, si discuteva, si celebravano i riti. Ora sono solo testimonianze di un'altra storia, e stanno lì a farsi guardare. Chissà se un giorno anche le nostre strade, le nostre piazze e le nostre chiese saranno sassi variamente conservati da studiare e visitare, e le nostre tazze decorate prese con i punti della Coop staranno nelle teche dei musei, mentre tutto intorno una nuova civiltà soffrirà.

martedì 13 marzo 2012

Sono già novantanove

Come di tutti i riti scaramantici, iniziatori e goliardici, non si sa chi l'abbia inventato, né quando, né come gli sia venuta in mente una cosa del genere.
Se scrivete 100 giorni  su Google, il primo risultato è la pagina di Wikipedia sull'ultimo sobbalzo di vita del potere di Napoleone; ma per chi sta per fare la maturità i cento giorni sono quelli che mancano alla prima prova scritta. Cioè, che mancavano ieri, il 12 marzo.
Non tutti festeggiano la data, e non tutti nello stesso modo; informandomi sulle usanze di altre parti d'Italia ho sentito cose eccentriche (studenti che saltano addosso ai professori). Beh, la nostra è quella che mi piace di più. In Toscana gli studenti congestionano i treni e migrano in massa verso il mare, ufficialmente per compiere un rito piuttosto complicato: si scrive sulla sabbia il voto che si spera di prendere aumentato di dieci, e quando le onde lo cancellano ci si getta sopra il sale. Ufficiosamente, è un modo per godersi l'aria tiepida e la luce splendida del mare a marzo, quando il sole è ancora basso sull'orizzonte. Ci si prende un giorno di pausa per giocare a calcio e rotolarsi sulla sabbia prima di iniziare il periodo più duro, insieme alle persone con cui si sono condivisi quasi cinque anni e con cui si sta per condividere la prova più difficile. Sentirsi uniti e affezionati per un giorno, anche in classi lacerate da lotte fratricide.
Qualcuno sfida il clima e fa il bagno, qualcuno sfida gli dei e punta in alto al momento di scrivere il voto. I più però scelgono l'understatement, perché è meglio una piacevole sorpresa che una delusione.
La spiaggia sterminata, i gruppi contro il cielo e il mare dai confini indefiniti, la foschia della Versilia; schizzi, urla e panini con il salame.  Una passeggiata lungomare sulla sabbia ancora tiepida, l'allegria che si riposa e la malinconia che arriva; perché sempre si festeggia quello che sta per finire.

domenica 4 marzo 2012

Forme

Scrive Umberto Curi nella Lettura del Corriere della Sera di oggi:
E' possibile ancora oggi concepire il pensare nei termini in cui è definito da Kant e Heidegger, o l'irrompere di fenomeni del tutto nuovi impone una radicale riformulazione degli stessi strumenti logico-concettuali, mediante i quali si esprime il pensiero? Nel momento in cui tengono campo il digitale e il virtuale, la globalizzazione e il "tempo reale", quali ripercussioni essi possono avere nella ridefinizione dello statuto del pensare? E' compatibile la grammatica delle nuove tecnologie con la sintassi del pensiero tradizionale?
E più avanti:
L'universo dei social network e il linguaggio digitale -solo per citare due esempi tra i molti- non sono soltanto oggetti del pensare, ma interferiscono direttamente nel processo di costruzione del pensare, modificandone in maniera tendenzialmente molto incisiva la stessa logica di funzionamento.
L'articolo in realtà, dopo aver analizzato in dettaglio cosa si intenda per pensare nella tradizione filosofica, non si sofferma sui modi in cui questo concetto sta cambiando. Animata da propositi suicidi, ho deciso di provarci io. Vediamo.
Il modo consapevole e responsabile di porci davanti alla rete è, per ora, un tentativo di applicare le nostre antiche e tradizionali capacità critiche per domare un mondo basato su criteri del tutto diversi: quindi selezionare, valutare, confrontare, arrivare a una sintesi.
Non c'è bisogno di dare un ordine e una gerarchia al caos, ma di convertire una gerarchia, diciamo, debole (informazioni ordinate in base al numero di visualizzazioni) in una forte (informazioni ordinate in base alla completezza e all'attendibilità).
Di fronte all'accattivante semplicità di un mondo in cui basta un gesto della mano per fare qualunque cosa -controllare l'orario del treno è facile come mettere la propria faccia su una dichiarazione o iscriversi a un'associazione cedendo tutti i propri dati-, ci sforziamo di non dimenticare che ogni azione ha il suo peso e si porta dietro le sue responsabilità; verifichiamo, ci informiamo, studiamo le condizioni giuridiche.
Di fronte a un sistema in cui degli sconosciuti usurpano il nome di amici, cerchiamo di non dimenticare il valore delle reazioni faccia a faccia, e di non confonderle con i rapporti virtuali.
Qualunque persona dotata di buon senso e consapevolezza vi dirà che in cose come queste sta la differenza tra usare Internet ed esserne succubi. Ed è vero, almeno in questo momento. Ma col tempo, è probabile che le nostre stesse facoltà si trasformino, adeguandosi al mezzo (che alla fin fine, non dimentichaimolo, è pur sempre un'invenzione umana). In parte, è già successo.
Ad esempio, diminuiscono la pazienza capacità di concentrarsi. Ci è sempre più difficile rapportarci con un testo lungo e complesso -anche cartaceo: vorremmo capire subito, cogliere il nocciolo. Non conta più andare in profondità, ma sapersi rapportare con un gran numero di stimoli immediati, sia che agiscano in parallelo (cerco la definizione di una parola mentre chatto con un amico), sia che entrino in relazione tra di loro (è l'amico ad aver bisogno di quella definizione, per capire il senso di un articolo che sta leggendo).
Questo esempio è stupido perché in tal caso l'amico potrebbe cercarsi la definizione per conto proprio; ma tanto per far capire il senso.
Tutto ciò ha anche degli aspetti positivi: ci rende più reattivi, più pronti a distinguere il fondamentale dal superfluo; ma dall'altra parte ci rende impazienti, meno disponibili all'ascolto.
E ancora: la necessità di memorizzare viene meno, perché tutto è disponibile in ogni momento (vedi, tanto per fare un esempio terra terra, la frustrante funzione di Facebook che segnala i compleanni della gente, cosicché non sai mai chi se ne è ricordato per davvero e chi te li fa perché ha visto l'avviso e scrivere "auguri" sulla bacheca non costa niente).
Insomma, si va in questa direzione, e si si dovesse constatare che le nuove forme mentali funzionano (cioè che ci permettono di condurre la nostra vita in modo soddisfacente, a livello sia individuale che sovraindividuale), le nostre vecchie facoltà critiche, in assenza di una materia a loro adatta, sarebbero destinate ad atrofizzarsi -che ciò sia giusto o no. Per quanto mi riguarda, mi sembra difficile che possa funzionare una società in cui l'attendibilità di un dato è misurata dal suo grado di popolarità, e in cui nessuno ha voglia di leggere un testo più lungo di cinque righe. Ma insomma, staremo a vedere. Alla fin fine, stiamo parlando di un mezzo che un giorno o l'altro potrebbe anche esplodere e farci perdere tutto ciò che gli abbiamo fiduciosamente affidato, costringendoci a ricominciare da capo.

P.S. Mi scuso se questo post è scritto in maniera oscura e cervellotica. L'argomento è complesso, e non è facile trovare la forma adatta a contenerlo. Ecco: anche qui, di nuovo, è tutta una questione di forme. D'altra parte, questa è forse la prima epoca in cui le forme sono più dinamiche dei contenuti. Guardandoci indietro, incontriamo forme fisse, rigide e pesanti che che rimanevano com'erano fino a quando i contenuti nuovi e sempre più dirompenti non le costringevano con la forza a cambiare. Oggi invece, quanto a contenuti continuiamo a nutrirci dei resti del secolo scorso; mentre le forme, come impazzite, esaltate da questa improvvisa leggerezza, cambiano in continuazione.

P.P.S. Se pensate che stia mischiando Marx con Kant in maniera invereconda, e che mi sia avventurata in terreni troppo insidiosi per una mente giovane e inesperta come la mia, avete ragione. Ma per come stanno le cose, chi è che arriva a leggere questo post fino in fondo? Siamo seri.