giovedì 29 dicembre 2011

Kant, gli iceberg e il pappagallo

Scrivo ora questo post perché con la fine dell'anno vorrei chiudere i conti con Kant. Dalle domande e i trip mentali fatti scaturire da un uomo che non si è mai mosso dalla sua città -che ho evitato di esporre sul blog per non far scappare anche quei quattro gatti che lo frequentano- è nata una commedia, ma non la pubblicherò qui perché è decisamente imbarazzante e perché non ho ancora imparato a fare i collegamenti ipertestuali, ammesso che si chiamino così (viva l'analfabetismo informatico). Non è di questo che volevo parlare. La premessa serve solo per spiegare cosa mi ha spinta a ordinare online un libro di cui esistono solo dodici copie in commercio (ora undici).
Voglio dire: se voi scriveste una commedia su una delle persone meno adatte a scriverci sopra una commedia, e scopriste che trent'anni fa qualcun altro ha fatto lo stesso, anche se voi siete esseri inutili mentre l'altro è un maestro dell'assurdo, cosa fareste?
Eccolo qui: Immanuel Kant di Thomas Bernhard, scritto nel 1978, pubblicato in Italia una sola volta, nel 1999 (c'è il prezzo in lire, che tenerezza!) e rappresentato per la regia di Alessandro Gassman solo l'anno scorso.  Qui c'è una specie di trailer (ecco, forse questo è un collegamento ipertestuale; io però dovrei imparare a farlo con un documento di open office).
Quanti di voi odiano Kant saranno contenti di sapere che Bernhard lo stravolge, lo rovescia e lo decostruisce: lo mette su un transatlantico, un secolo dopo la sua morte (storica), insieme alla moglie che in realtà non ha mai avuto, in viaggio verso l'America. Kant, vecchio e famoso, sta diventando cieco. Solo un'operazione chirurgica potrebbe restituirgli la vista. Lui, in cambio, porta in America la sua ragione. Con lui viaggia una varia umanità -oltre alla moglie, una milionaria, un cardinale, un collezionista d'arte, uno steward-, maschere grottesche che conoscono la sua fama e lo leccano da tutte le parti, ma non potrebbero essere più lontani dal suo pensiero.
Kant stesso, d'altra parte, è incapace di comunicare: pronuncia solo sentenze criptiche e sconnesse, prive di legami logici, alternate con aneddoti surreali. Sembra parlare a se stesso, ignorando l'attenzione generale concentrata su di lui. Disprezza i suoi compagni di viaggio e l'America verso cui è diretto, ma non propone alternative. Nonostante questo, sente il bisogno di affermare la sua autorevolezza, in realtà irrimediabilmente perduta: rimbrotta la moglie che di fatto lo domina (è stata lei a spingerlo al viaggio), tormenta il servo; l'unico essere che lo gratifica è un pappagallo di nome Federico. Per lui Kant ha mille premure: si preoccupa che non venga esposto troppo alla luce, che abbia una cabina speciale insonorizzata, che assuma solo granelli perfettamente integri.
Insomma, Kant è messo male: l'unico confronto ancora possibile, per lui, è quello autoreferenziale con un pappagallo che ripete a memoria le sue teorie, e può solo dargli ragione; e per di più non si tratta di teorie compiute, ma di brandelli di frasi, parole incomprensibili inadeguate a comprendere, a spiegare, a proporre.
E' impossibile parlare della ragione in alto mare dice Kant, e non si può non pensare alla metafora del navigante nella Critica della ragion pura, sulla saldezza della conoscenza empirica e le lusinghe della metafisica:
Ma questo territorio è un'isola che la natura ha racchiuso in confini immutabili. È il territorio della verità (nome seducente), circondata da un ampio e tempestoso oceano, in cui ha la sua sede più propria la parvenza, dove innumerevoli banchi di nebbia e ghiacci, in corso di liquefazione, creano ad ogni istante l'illusione di nuove terre e, generando sempre nuove ingannevoli speranze nel navigante che si aggira avido di nuove scoperte, lo sviano in avventurose imprese che non potrà né condurre a buon fine né abbandonare una volta per tutte.
Non per niente la commedia è ambientata pochi anni dopo il naufragio del Titanic, ed è tutto un parlare di iceberg. Di fatto, a Bernhard la metafisica interessa poco, e per il suo Kant i ghiacci in corso di liquefazione sono l'illusione che, in cambio di qualche compromesso, ci sia posto anche per lui. Ci crede poco per la verità, ma ormai gli importa solo di essere formalemente onorato e di potersene stare in pace con Federico. Non gli riuscirà neanche questo. Non ci saranno gli iceberg, ma qualcosa di molto peggio.
In questa commedia grottesca e straniante il mondo sarà anche sordo ma la ragione, da parte sua, è diventata muta.

lunedì 26 dicembre 2011

Regali a costo zero

L'incomebenza dei regali, sotto Natale, penso metta un po' in imbarazzo tutti: prima di tutto a chi farli?
1. A quelli a cui vogliamo bene.
2. A quelli che ci stanno antipatici ma di certo ce lo faranno.
3. A quelli che non sappiamo se ce lo faranno ma se per caso ce lo fanno e noi diciamo "Acciederbolina, il tuo l'ho lasciato a casa" e poi glielo portiamo dopo una settimana capiranno subito che gliel'abbiamo ruffianamente comprato per ricambiare il loro e quindi è meglio giocare d'anticipo.
Comunque, il problema più importante non è a chi, ma cosa regalare. Personalmente, sono insofferente a tutti quei ninnoli che non hanno nessuna possibile funzione se non quella di venire appunto regalati a Natale (non per niente esistono negozi di "idee regalo": cioè, non di scarpe, cappelli, collane, cipolle, libri, zappe, vasi da notte o altri oggetti che abbiano una loro individualità ma di cose la cui esistenza culmina e si esaurisce nel momento in cui vengono scambiate tra due persone ugualmente disinteressate sia l'una all'altra  sia all'oggetto in questione). Se questi regali potessero pensare, soffrirebbero tutti di bassa autostima; se potessero agire, sotto Natale ci sarebbe un'ondata di suicidi tale da rovinare le feste a tutti. Immaginate di scartare un pacchetto e trovarci dentro un pupazzo di neve di peluche che si è impiccato con la sciarpa.
Ora, gli aggeggi non possono fare tutto ciò ma possono invaderci via via la casa fagocitando lo spazio e sottraendolo a quello che è davvero importante. Buttarli non si può (oltretutto non sono mai biodegardabili, e contribuiremmo all'inquinamento); usarli neppure perché non servono a niente.
Insomma, odio ricevere aggeggi (quest'anno mi è andata abbastanza bene, devo dire); e per coerenza cerco di non regalarli. Di solito mi butto sul fatto a mano (l'anno scorso ho cercato di traformare un trullo di gesso in una palla per l'albero, ma non è andata bene), o sul culinario: il cibo se non altro sparisce e non invade la casa.
Con alcuni regali però non me la cavo così facilmente: vedi il punto 1. Ci sono due modi di dimostrare a una persona che è importante per te: spendere un sacco di soldi, oppure cercare qualcosa che in un modo o nell'altro parli di lui o di lei. Quest'anno sono stata pigra e ho fatto biscotti per tutti gli amici, più e meno stretti (credo che abbiano gradito, comunque). A mio padre volevo comprare una bottiglia di Macallan, non perché dovesse berla ma per richiamare La versione di Barney.
Visto che l'ho nominato dirò due parole su questo libro, secondo me uno dei più geniali scritti alla fine del Novecento. Nella finzione narrativa un produttore di tv spazzatura, sputtanato nell'autobiografia di un amico di gioventù, decide di dare la sua versione dei fatti. Senza farsi sconti, autolelogiarsi o giustificarsi, con una sincerità e un'autorionia spiazzanti Barney ripercorre la sua vita -da bambino povero del quartiere ebraico a pezzo grosso dell'industria televisiva, passando per tre matrimoni, una gioventù scapestrata a Parigi e un'accusa di omicidio-, racconta le sue depravazioncelle, i suoi compromessi, le sue liberatorie ribellioni (liberatorie per il lettore, che trova uno spiraglio d'aria fresca nella densa coltre del politicamente corretto), desublima e rovescia tutto, tranne quello che veramente conta: l'ultima, adorata moglie e i figli. L'anno scorso è uscito il film, che non è male; ma il libro dà tutta un'altra pienezza. Pochi libri fanno veramente ridere, e La versione di Barney è uno di questi. Sarebbe da regalare, ma Natale è appena passato. Magari dovevo scriverlo prima.
Comunque, tornando a noi: Barney beve Macallan. Sono candidamente entrata nell'unico negozio di Firenze che lo vende e ho chiesto il prezzo. Poiché non sono una produttrice televisiva ricca da far schifo, non l'ho trovato abbordabile. Ma ormai mi ero innamorata di questa idea e non volevo rinunciare. Ho trovato in casa una bottiglia di Glen Grant (remoto regalo non si sa più di chi che da decenni prendeva la polvere nell'armadietto dei liquori di una famiglia praticamente astemia). Ho preso la scatola di cartone, ho scaricato da Internet la foto di una bottiglia di Macallan delle stesse dimensioni e l'ho attaccata su tutti i lati. Dentro ci ho messo una bottiglia d'acqua di rubinetto.
Devo dire che lo scherzo è riuscito benissimo, mio padre non si è neanche accorto dello scotch e ha pensato incredulo di avere davanti un Macallan invecchiato di dodici anni fino a quando non ha aperto la scatola.
Voi mi direte: "Ma alla fine non gli hai regalato nulla."
E' vero. Però ci siamo fatti le risate.

domenica 11 dicembre 2011

I fiori blu

Siano sempre benedetti i consigli degli amici: per altre vie, mai sarei arrivata a scoprire questo delizioso romanzo scritto da Raymond Queneau nel 1965 e tradotto da Italo Calvino.
Cidrolin vive su una barca. Di lui sappiamo che è stato in prigione (per un errore giudiziario, dice) e che ha tre figlie (due sposate; la terza convola a nozze nel corso del libro con un non troppo convinto dipendente dei trasporti pubblici). Cosa fa Cidrolin nella vita? Beve essenza di finocchio, esaspera i passanti, dà indicazioni ai campisti che cercano il campo da campinghe poco lontano, cancella le parole diffamatorie scritte ogni notte sul bordo della chiatta da un vandalo misterioso. Principalmente, dorme.
Sogna di essere il duca d'Auge, signore feudale nella Francia del 1264. All'inizio, almeno: da una dormita all'altra, lo ritroviamo all'epoca della guerra dei Cent'anni, poi nel Seicento, poi alla vigilia della Rivoluzione Francese. Anche il duca d'Auge ha tre figlie; in più ha un cappellano (poi promosso vescovo) che si diverte a scandalizzare, un fido paggio, un cavallo chiamato Demostene perché parla. Anche il paggio ha un cavallo, chiamato Stéphane perché di poche parole. Come Cidrolin, il duca d'Auge non ha un granché da fare nella vita; si diverte però a riempirla con occupazioni fantasiose: batte le figlie, sperimenta cannoni, protegge un amico cannibale, sposa la figlia di un boscaiolo (salvo poi battere anche lei), ingaggia un alchimista. Mentre a Parigi infuria la Rivoluzione, lui sconvolge l'abate mostrandogli graffiti primitivi nelle caverne del Périgord. Fino al finale, che non svelo.
Detto questo, però, si affaccia una prima questione: è Cidrolin che sogna di essere il duca d'Auge, o è il duca d'Auge che sogna di essere Cidrolin? Su questa ambiguità tra realtà e finzione si basa buona parte del romanzo, in un continuo gioco di scambi, duplicità e coincidenze che rosicchia pian piano le certezze e gli schemi mentali del lettore. Per apprezzare questo romanzo bisogna abbandonarsi al continuo piacere dell'illogico e dell'inaspettato. Sia Cidrolin che il duca sono cultori del paradosso; anche se il primo rimane placido e amabile di fronte agli interlocutori confusi, mentre il secondo si offende, si infiamma e molla pedate a chi non è d'accordo.
Queste due vite senza scopo sono attraversate da considerazioni sulla storia, sul linguaggio, sull'esistenza. Questi dialoghi in realtà sono la punta dell'iceberg, sorridenti indizi per decifrare quello che c'è dietro a una storia scritta in apparenza solo per divertimento. Confesso che io ancora non ci sono riuscita; molte cose si intuiscono confusamente: insomma, non c'è bisogno di essere filosofi per scorgere tra le righe l'idea dell'inutilità della vita, della fuga dalla realtà, della mancanza di certezze e di basi solide su cui costruire (non a caso Cidrolin vive su una barca). A un mondo che non offre un senso né una spiegazione non si può che rispondere con lo sberleffo nonsense.
Probabilmente, poi, c'è molto altro. Ma anche lasciando perdere il sottofondo filosofico si può amare questo libro per la continua invenzione linguistica, per gli eventi banali stigmatizzati fino all'estenuazione e gli eventi incredibili trattati con la massima nonchalance, per i gesti quotidiani decostruiti come alla moviola, insomma per la capacità di presentare la realtà da un punto di vista straniato rovesciando continuamente le nostre aspettative.

Cidrolin e sua figlia Lamelia:

-Sapevano disegnare da maledetti, quei paleolitici lì. I loro cavalli, i loro mammut, ffuit... così, -(gesto).
-Tutti falsi.
-Cosa intendi dire?
-Sono tutti dei falsi.
-Ah! Se fossero dei veri falsi, si saprebbe.
-Io lo so.
-E come lo sai?
-Mah.
-Te lo sei sognato?
-E' un tale del Settecento che ha dipinto tutto.
-E perché l'avrebbe fatto?
-Per fare incazzare i preti.
-Scherzi, papà. sogni. Faresti meglio a comprarti la tivù, ti faresti una cultura.

Il duca d'Auge e il suo amico conte spagnolo:

-No. E' sulle pareti delle caverne che dipingo.
-Ma, Joachim, chi le vedrà mai, queste vostre opere?
-Gli storici della preistoria.
-Ecco un'esperessione francese che ignoravo. Che vuol dire?
-Ve la spiegherò più tardi. Ditemi, non conoscete qualche posto del genere dove possa esercitarmi?
-Ve ne sono proprio sulle mie terre,- rispose il Conte Alataviva y Altamira.

Insomma, dopo aver letto questo libro ho cominciato a chiedermi se tutta la letteratura, e la storia, latina e greca non siano in realtà state inventate per ingannare la noia del convento dai copisti medievali.

mercoledì 30 novembre 2011

Tutto quello che non so sulla frizione (e non solo)

Adattando la mia mente alla logica perversa dei quiz, a metà settembre sono stata dichiarata idonea a esercitarmi nella guida (continuo a non capire il collegamento tra i due fatti, ma non posso negare che la cosa mi abbia fatto piacere). Ora,al di là di un'infinità di errori che continuo a fare per distrazione, il vero grande mistero del mio apprendistato automobilistico è la frizione. Continuo a lasciarla troppo in fretta, premerla troppo tardi, alzarla quando la dovrei abbassare e sono del tutto incapace di armonizzarla con l'acceleratore. Per quello che può servire, almeno ho trovato l'origine del problema: il fatto è che non ho capito fino in fondo cos'è la frizione. La associo allo schema trascendentale di "affare che stacca il motore dalle ruote (nel tempo, s'intende)"; in discesa capisco il suo comportamento, in salita assolutamente no (il punto d'innesto è un dogma). Insomma, mi hanno spiegato come devo usare il pedale e mi attengo meccanicamente alle istruzioni; ma siccome non so cosa sto facendo, confondersi è facilissimo.
Ora, questo problema specifico è dovuto alla mia condizione di classicista semianalfabeta in fisica. Però mi ha spinta a riflettere su una questione più generale. Cioè, mi sto chiedendo quanto siamo padroni della nostra vita.
Sessant'anni fa, se a mio nonno si rompeva la falce, lui capiva cos'era successo e sapeva ripararla. La sua vita si basava su strumenti che conosceva, che spesso aveva costruito lui stesso. Almeno nell'ambito del suo lavoro, era del tutto autosufficiente. Solo in casi fuori dalla norma delegava una parte della propria vita a un personaggio esterno che ne sapeva di più: il dottore per una malattia, l'avvocato per una causa.
Mio nonno ha studiato fino alla quinta elementare; io arriverò a laurearmi (almeno spero); eppure affiderò il mio lavoro e parte della mia vita a strumenti che non conosco. Tutti sappiamo navigare su Internet, usare programmi, scaricare musica, mandare messaggi in tempo reale, parlare con qualcuno che sta dall'altra parte del mondo; eppure pochi di noi sanno cosa c'è dietro tutto questo. Il traffico di dati, la memoria, le onde radio: tutti concetti piuttosto vaghi -per non parlare di tutto ciò di cui non sappiamo nemmeno l'esistenza. Quello che ci appare come nostro in realtà è costituito da una serie di codici che non controlliamo e non conosciamo. C'è chi si è aggiornato, riesce almeno a capire con cosa ha a che fare, a risolvere i problemi più comuni. Ma è ancora una minoranza. Noialtri quando qualcosa non va veniamo colti da crisi isteriche, ci sentiamo impossibilitati a controllare la nostra vita, tentiamo strade a caso dopodiché chiamiamo un tecnico informatico.
Ma forse a pensarci bene la nostra vita è tutta un delegare: i figli alla baby sitter, i genitori alla badante, la colonna vertebrale alla maestra di yoga, i peli all'estetista, la cena ai surgelati. Eppure è tutta roba nostra. Più il progresso avanza, più le conoscenze diventano specifiche, meno ci rendiamo conto di quello che ci circonda.
Insomma, proporrei di uscire da questo stato di minorità e prendere il controllo se non altro di quello che riguarda direttamente le nostre vite. Io per prima. Se qualcuno ad esempio commentasse spiegandomi cos'è la frizione avrebbe la mia gratitudine eterna.

martedì 15 novembre 2011

E dopo?

Avevo deciso, in questo blog, di non parlare di politica: essendo la mia competenza molto approssimativa, e ancor più incerte e generiche le mie idee, preferisco non riempirmi la bocca di cose che non conosco. In questi giorni, però, penso che qualche riflessione venga spontanea a tutti. Soprattutto a quelli come me, che da bambini sentivano parlare di Tangentopoli al telegiornale e pensavano che c'entrassero i topi.
Siamo cresciuti in un Paese dove un solo uomo era dappertutto. Audace, teatrale, affaccendato, populista; per sua natura invadente. E dell'invadenza ha fatto il suo personale ideale.  Suoi i giornali, la televisione, il calcio, le imprese, le donne; sua la politica, anche quando non era al Governo; e, quel che è più importante, suo il dibattito. Non abbiamo mai conosciuto a destra e la sinistra, solo il berlusconismo e l'antiberlusconismo. E' diventato un po' la misura di tutte le cose; non mi viene in mente un altro politico, in democrazia, che abbia suscitato tanto entusiasmo e tanto odio personale.
Ora è finito. E' esploso come una supernova, ha negato l'evidenza finché ha potuto, si è spento. Si volta pagina, ci dicono. Sì, ma da cosa si comincia? Già di per sé la circostanza in cui ci ha lasciati è a dir poco difficile. C'è la crisi, non ci aspettano tempi divertenti. Ma c'è anche un altro problema.
In questi vent'anni la gente si è disabituata. Non si sa più cos'è una linea politica, cosa vuol dire governare, cos'è il pubblico e cosa il privato, cos'è la destra e cosa la sinistra. Ci è sconosciuta l'idea non dico del bene comune, che sarebbe chiedere troppo, ma anche solo del bene di qualcuno oltre a quelli seduti in Parlamento.
C'è chi se l'è dimenticato; figuriamoci noi che non abbiamo nemmeno avuto modelli di confronto. Da quando siamo nati tutto quello che abbiamo visto è stato: allearsi, disallearsi, contare i deputati, cercare la maggioranza, proporre leggi ad personam, contestare le leggi ad personam, discutere degli scandali sessuali, tagliare di qua, spendere di là, cambiare partito, fondare nuovi partiti, stappare la mortadella, affettare lo spumante, ancora discutere degli scandali sessuali.
Ora, dopo aver finito di rovinare questo Paese, ci dicono di salvarlo; ci raccontano che possiamo decidere il nostro futuro. Ma per quanto mi riguarda non so neanche cosa voglia dire. Forse qualcuno lo sa, speriamo.
Magari questo periodo di governo tecnico, in cui per forza di cose le riforme avranno la precedenza sui giochi politici, ci aiuterà a spurgarci, a recuperare o a trovare per la prima volta il senso delle cose; e forse entro le elezioni del 2013 qualcuno avrà costruito un progetto credibile per il "dopo".
Shelley scriveva:

                                                       O, Wind,
if Winter comes, can Spring be far behind?

Non so se è vero, ma mi piacerebbe tanto.

lunedì 7 novembre 2011

Faust e la fuggevolezza del cinema

Premetto che sto per fare una cosa scorretta. Vado a scrivere la recensione di un film di cui non ho capito un accidenti di niente. Forse però -a mia parziale scusante- questa non sarà una recensione, ma una riflessione sul non capire un accidenti di niente dei film. Non lo so ancora. Aspettiamo la fine del post.
L'anno scorso a Venezia ha vinto Somewhere, un film decisamente vuoto, ripetitivo e inguardabile da un punto di vista estetico. Quest'anno, la svolta. Un'opera profonda, coraggiosa, radicale, che sfida le leggi del mercato.
Sì, sono corsa a vedere Faust. Confesso di non aver letto il dramma originale (dopo Werther, ci vorrà un po' prima che riesca ad avvicinarmi di nuovo a Goethe). Magari mi avrebbe aiutata. In sostanza: delle due ore e passa mi sono goduta diverse belle immagini, il senso di oppressione palpabile di alcune scene (la migliore, la visita alla bottega dell'usuraio-diavolo), la deformità spiazzante del tentatore dal viso indifeso e mellifluo insieme, la solitudine del protagonista. Ma sono uscita dal cinema con niente in mano. Non dico una visione chiara e completa del messaggio, che spesso in opere così complesse sfugge agli autori stessi: neanche uno spunto di riflessione, una domanda rimasta in sospeso, niente. Se mi chiedessero cosa ho visto, non saprei rispondere.
Insomma, visto che di riflettere sul film non c'era modo (non avevo punti di partenza), mi è venuto da pensare a un problema più generale: cioè, a chiedermi se esistano contenuti inadatti al cinema. L'immagine cinematografica è fuggevole. In un solo momento devi cogliere il dialogo, la luce, i movimenti, le espressioni, la musica, l'inquadratura; e ricavarne quello che ne va ricavato. Alla fine questo è anche il suo bello: il cinema è uno strumento straordinario, un concentrato di tutte le arti. Ma bisogna essere pronti. Attenti e scattanti, come ci chiede la nostra società sempre di corsa. Non si può rileggere, né concentrarsi su un particolare. E' vero, se stiamo guardando un DVD si può pigiare rewind, ma siamo sinceri: quanti di noi lo fanno, quando non capiscono qualcosa? D'altra parte una storia va goduta, non siamo a un corso di cinematografia dove si decostuiscono i film.
Ecco, in opere come Faust bisognerebbe fermarsi a ogni inquadratura. Suppongo abbiano fatto così i critici che l'hanno osannato. Ma noi persone comuni, anche quando abbiamo voglia di riflettere, di solito andiamo al cinema per vedere un film; non per analizzarlo. Se i libri di Dostoevskij fossero film, si potrebbe o capirli o amarli. Non tutte e due le cose insieme.
Al momento la mia cultura cinematografica fa un po' acqua; tuttavia dal poco che ho visto finora ho ricavato l'impressione che la filosofia e il cinema non vadano troppo d'accordo. La prima richiede riflessione, il secondo è un flusso continuo -e arrestarlo è una forzatura. A meno che non si possa trasmettere la filosofia attraverso delle impressioni. E questa resta una questione aperta.

venerdì 28 ottobre 2011

Note e cemento

Travi, cavi, funi, macchinari, qualche operaio. La telecamera sembra riprendere un cantiere inconsapevole. Ai miei occhi disattenti -getto un'occhiata alla televisione accesa mentre passo da una stanza all'altra- il gala di riapertura del Bolshoi di Mosca si apre con gli ultimi ritocchi tecnici prima del vero inizio.
Meno di un minuto dopo, sento prorompere un coro di voci che cantano in russo. Troppo presto perché abbiano fatto in tempo a sistemare tutto.
Torno davanti al televisore. Il cantiere è la scena teatrale. Gli operai cantano. Gli operai sono i coristi. Intonano un inno a uno zar defunto e dimenticato, o forse a un luogo collettivo restituito alla città grazie a un progetto di coesione e di passione condivisa. Seguono il ritmo incalzante dell'orchestra con l'elmetto in testa, le mani nelle tasche dei giacconi.
Sarà un gesto un po' ruffiano, chissà. D'altra parte un teatro d'opera è un luogo collettivo solo per un'élite molto ristretta, soprattutto in Russia dove la sperequazione sociale è tanto forte. E alla fin fine i coristi quei vestiti, nella loro vita reale, non li hanno indossati mai; non hanno rischiato di ammazzarsi cadendo dalle impalcature. Però mi è piaciuto il gesto in sè, il messaggio che passa. Un grazie a chi si è sporcato le mani per permettere ad altri di fare ciò che li appassiona. Una dignità restituita ai tanti uomini invisibili che non stanno sul palco ma senza cui il teatro non esisterebbe. Una rottura, almeno per cinque minuti, della distinzione tra l'alto e il basso, come dire: quello che vedete l'abbiamo fatto tutti insieme; questo luogo non è solo canto e musica, è anche legno, e stucco, e cemento, e funi.
La musica a volte è un modo per sfoggiare il prestigio, come succede a certi festival operistici; ma può anche veicolare il seme di un mondo migliore (e far traballare per il tempo di un post anche chi nei buoni sentimenti e nel mondo migliore ci crede poco, come la sottoscritta). Penso ad esempio a Zubin Mehta, che nella sua orchestra fa suonare musicisti appartenenti a nazioni diverse, anche in conflitto.

P.S. Mentre scrivo, nell'altra stanza i concorrenti dell' Eredità si arrovellano per dedurre se Mozart era più basso di Gandhi. Il mio attimo di traballamento è finito.

martedì 25 ottobre 2011

Consigli pratici per contrastare l'infinita vanità del tutto

Ovvero: come opporre alla follia depressiva indotta dalla routine quotidiana una follia un po' più creativa. Trasformazioni alchemiche operate sulla nebbia fitta del programma scolastico, per renderlo un po' più divertente (si spera).

1. Cercare una melodia da applicare ai versi delle Baccanti. D'altra parte la tragedia è nata per essere cantata. Per ora ho provato con un coro da stadio, la sigla di Heidi e la canzone dei Sette nani, senza arrivare ad un risultato soddisfacente (non è facile: dovrebbe avere un tono solenne e drammatico, anche se il trimetro giambico ha un andamento veloce e fa pensare a qualcosa di allegro).

2. Guardare questo video dei Monty Python. http://www.youtube.com/watch?v=0AORIsB8DIw

3. Scoprire che oltre la tua classe c'è una stanza vuota inaccessibile. Fantasticare su cosa contenga.

4. Accusare Kant di essere cervellotico e incomprensibile. Poi, cominciare a comprenderlo e accusarlo di non avere idea dei rapporti tra essere umani, e di disquisire su argomenti ignoti a un uomo che non si è mai mosso dalla sua città (il bello e il sublime a Konigsbarg? ma via). Infine, farsi contagiare dalle domande che solleva e passare i momenti liberi ad arrovellarsi e chiedersi se aveva ragione, e come, e quanto. A quel punto, insultarlo più pesantemente che mai.  (Quest'ultima parte in realtà è un cedimento alla follia, più che un modo per contrastarla. A dire il vero su Kant è in fase di elaborazione qualcosa di molto più esteso che però, data la sua demenzialità, forse non verrà pubblicato sul blog).

Tanto amore, in attesa di argomenti più allettanti.

mercoledì 19 ottobre 2011

L'esistenza non si nega a nessuno

In qualsiasi manuale scolastico, nella biografia di qualsiasi autore c'è sempre un paragrafo destinato a essere dimenticato più rapidamente e spensieratamente di qualsiasi altro: quello che elenca le opere giovanili. Insomma, gli esperimenti imbarazzanti, gli aborti letterari (o filosofici, o scientifici, dipende), gli scimmiottamenti di autori idolatrati, ma anche gli scritti in cui comincia a delinearsi una concezione originale. Roba che allo studente medio non si richiede per fortuna di conoscere, ma che serve agli specialisti per capire qualcosa di più dell'autore in questione. Lo stesso vale per gli scambi epistolari, per i diari, per i pensieri sparsi. Da dove sbucano fuori? Da qualche archivio suppongo, dai cassetti di parenti e amici, da una libreria di nicchia che conserva una delle poche copie di un'opera stampata senza successo. Non sono proprio a portata di mano, ma se uno vuole sa più o meno dove trovarli.
Bene. Ora immaginiamo che tra una settantina d'anni uno studioso voglia ricostruire la formazione di un personaggio che nel 2011 si affacciava al mondo e si sbracciava per farsi conoscere. Non credo che le cose saranno così lineari. Con ogni probabilità si perderà in una valanga di strade che conducono a tutto e a niente. Infatti proprio mentre scrivo queste parole il futuro genio in questione si sta sbracciando su Internet. Nonostante quanto stabiliscono le leggi sulla privacy e sui diritti d'autore, qui la differenza tra ciò che viene e ciò che non viene divulgato, tra pubblico e privato, non è affatto netta. Internet è la più grande pattumiera democratica della storia, dove chiunque può lanciare qualunque cosa, e tutti, senza aver superato nessun esame preventivo, possono esistere con pari dignità. Almeno in partenza. Col tempo saranno gli utenti (amici su Facebook, lettori di blog, curiosi a caccia di un'informazione introvabile, gente alla ricerca di quello che offri) a farti salire o a seppellirti in qualche angolino dell'etere, finché una parola chiave ostrogota inserita nel motore di ricerca non ti fa riemergere.
La rete si forma per accumulazione; non conosce criteri di selezione, se non le visite dei naviganti; e però quello che non ottiene successo non sparisce: fa volume. Esiste, perchè l'esistenza  non si nega a nessuno; ma allo stesso tempo non esiste perché, a forza di non essere cercato, è diventato introvabile.
Ogni giorno si incrementa la massa di libere informazioni che si contraddicono, progetti abbandonati, elenchi di nomi sconosciuti, imbarazzanti elaborati di studenti messi in rete da insegnanti estasiati, emoticons sorridenti, forum di persone con lo stesso cognome, scambi di pareri sulle ragazze lituane, illeggibili tragedie ottocentesche digitalizzate. Un'enciclopedia spontanea di risposte a domande che nessuno porrà.
Un mondo ambivalente: da una parte narcisista -un modo per gridare: Io esisto!- dall'altra deferente e rispettoso: ogni contenuto che appare in rete sembra dire: Io ci sono. Chi vuole mi legga (gratis e senza impegno), chi non vuole mi ignori.
Lo spazio virtuale è illimitato. O no? Si può continuare ad accumulare all'infinito? Mi chiedo cosa ne sarà tra uno o due secoli dei prodotti della nostra mente. Forse ci saranno ancora, sepolti sotto pagine più recenti. Oppure l'etere se li sarà mangiati? Magari il nostro studioso non troverà niente sull'autore che sta studiando, ma in compenso scoprirà la bellezza della pittura sui sassi.

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Le lacrime e i sospiri degli amanti,
l'inutil tempo che si perde a giuoco,
e l'ozio lungo d'uomini ignoranti,
vani disegni che non han mai loco,
i vani desideri sono tanti,
che la più parte ingombran di quel loco:
ciò che in somma qua giù perdesti mai,
là su salendo ritrovar potrai.

(Ludovico Ariosto, Orlando Furioso canto 34)

P.S. L'idea di associare Ariosto alla nostra società non è mia. Lo dico per rispetto a chi ne sa più di me.

mercoledì 12 ottobre 2011

All'amicizia- epilogo

E' passato qualche anno. Manetti e Claudia camminano per via dei Serragli, verso l'Arno. Claudia tiene per mano un bambino di cinque o sei anni, Alessandro.

MANETTI (al bambino) E se crolla il muro di pastafrolla?
ALESSANDRO Basta cuocerla, così diventa dura.
MANETTI E se si sbriciola?
ALESSANDRO La mamma pulisce.
CLAUDIA E se la mamma si stanca di pulire?
MANETTI Se la mamma si stanca di pulire può fare lei le case.
CLAUDIA (indicando) Guarda, Alessandro. Quello è un giardino che il babbo aveva progettato prima che tu nascessi... Anche se l'ha finito qualcun altro.
ALESSANDRO Perché?
MANETTI Perché mi hanno dato un lavoro migliore.
ALESSANDRO Non si vede niente.
MANETTI Aspetta.
Lo fa salire sulle sue spalle.
MANETTI Ora vedi qualcosa?
ALESSANDRO (sollevandosi più che può) Sì sì... Ci sono delle siepi, degli alberi...
MANETTI C'è gente?
CLAUDIA (reggendo il bambino per un braccio) Non mi cascare, Alessandro.
ALESSANDRO A' voglia. Chiacchierano, ridono, a volte sono seri; a volte si arrabbiano un pochino; ma sembrano tutti contenti.
CLAUDIA Senti, c'è anche una parola scritta sul marmo per caso?
ALESSANDRO Sì, Sì.
MANETTI Leggila un po' scolaro, vediamo se ti riesce.
ALESSANDRO (legge con difficoltà) A-lla... allamici... ci-zi-a. All'amicizia.

FINE

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martedì 11 ottobre 2011

All'amicizia- scena diciassettesima


Il marchese è seduto in poltrona, appoggia il gomito su un bracciolo e si regge la testa con una mano. Compare Angela, con un livido sul viso; il marchese sentendo i suoi passi alza appena la testa, poi la riabbassa.
CORSI Ho perso la testa. Anziché amarla le ho fatto del male, e mi è scappata. Avevi ragione. Dovresti essere soddisfatta.
ANGELA Nessuna soddisfazione nel vedere una donna presa a schiaffi.
CORSI E poteva andare diversamente, lei mi faceva sperare... Dove ho sbagliato?
ANGELA E' talmente inesplorata quella regione di te, Tommaso, che quando provi a entrarci ci trovi i leoni.
CORSI Anche ora devi prendermi in giro?
ANGELA Non ti sto prendendo in giro. Lei se n'è accorta, si è agitata, il leone si è svegliato e a quel punto è stato peggio.
CORSI (di scatto, rivolgendosi a lei pur restando seduto) E se invece fossi impazzito perché tu mi stai sempre col fiato sul collo a giudicarmi? Io ci sto provando, Angela. Eri infelice perché non vedevi altro che le quattro mura del palazzo, e sto facendo un giardino. Eri infelice perché non c'erano amici che venissero a trovarci, e... e ci ho provato, per lo meno. Eri infelice perché non sapevo amare, e sono andato a innamorarmi, ho sofferto, non ho dormito, e mi sono ritrovato con niente in mano! Mi sono messo la vita sottosopra per fare quello che mi chiedevi, e cos'è venuto fuori? Un uomo ancora peggiore di quello che hai conosciuto! Sei contenta? Sei soddisfatta? Hai altro da chiedermi?
ANGELA Ma chi ti ha chiesto nulla? Tanto, se anche ti fosse riuscito di diventare l'uomo che non sarai mai, non risorgerei per vedere questo capolavoro! Prima ci dovevi pensare, quando ero una ragazzina stupida e avrei amato anche un cane, figuriamoci un bell'uomo che citava Catullo!
CORSI Che c'entra questo?
ANGELA Quando mi hai sverginata pensando ad altro, quando mi hai messa nel mio appartamento e non ti ho visto per una settimana, quando a tavola ti chiedevo qualcosa, ti sorridevo, ti cercavo la mano, e tu pensavi solo a finire presto per tornare in questa stanza soffocante!
CORSI Angela, eravamo troppo diversi.
ANGELA E allora non ti accorgevi di nulla. Non te ne sei accorto neanche quando ho rinunciato ad amarti e ho cercato qualcos'altro di bello, avrei voluto riverniciare i muri, togliere l'odore di muffa, aprire le porte, far entrare l'aria, la gente... amici, idee, e magari un amore...
CORSI Me ne sono accorto quando hai cominciato a chiedermi questo e quest'altro tutti i giorni!
ANGELA Ma che noia ti avrei dato? Volevi fare la tua vita, per conto tuo; perché non potevo fare la mia?
CORSI Volevo proteggere la mia quiete, Angela. Tutte quelle novità mi facevano paura.
ANGELA Ti faceva paura la vita, ecco cosa! Avevi paura di diventare vivo anche tu, di dover parlare per davvero, litigare per davvero, conoscere per davvero, soffrire per davvero! Troppa fatica!
CORSI E quando hai cominciato a diventare acida, a rispondermi male, per me è stata quasi una liberazione; non mi sentivo più in colpa a non darti quel minimo di considerazione richiesto dalle forme.
ANGELA Avevi vinto già allora, anche se non mi ero arresa, giravo su e giù per le stanze deserte facendomi mangiare dal rancore, pensando a come trovare un amante, in un modo o in un altro, a come umiliarti... a come costringerti a far caso a me...
CORSI Ci ho ripensato solo dopo, a come anche il rancore pian piano si è consumato, e sei rimasta senza forze...
ANGELA Senza più voglia di lottare, persa nel labirinto delle stanze, la magnificenza polverosa, su e giù, su e giù per le scale e per le camere pur di non pensare, e arrivavo sempre a un muro, dovunque, da qualunque parte c'era un muro, e bisognava tornare indietro, ancora su e giù. Voglio uscire!
CORSI Io stavo nel mio studio, il tuo scalpiccio lo sentivo; all'inizio mi dava noia, poi smisi di farci caso.
ANGELA E non c'era altro modo di uscire. Era così semplice, non c'era bisogno di corrompere servitori, litigare con te o che so io. Bastava uno sgabello, una corda... Tanto mi sentivo soffocare di già. E allora tanto valeva farlo per bene! E scappare via, finalmente!
CORSI Angela, perdonami!
Angela prende fiato, e lo guarda in modo diverso.
CORSI Sono stato pauroso, miope e crudele. Ti ho distrutta. Perdonami.

Caspar David Friedrich, Uomo e donna che guardano
la luna

ANGELA Bastava dire questo, Tommaso. Bastava questo perché venissero in modo naturale le cose che hai voluto far succedere per forza. E non per me. Io ho smesso di chiedere quando sono morta.
CORSI E allora perché hai continuato a venire?
ANGELA Per te. Sperando di vivere prima o poi in te, dopo essere morta contro di te. A me solo questo dovevi, il pentimento; e ora me l'hai dato. Il resto... il giardino, l'amicizia, l'amore, l'uomo nuovo che vuoi diventare... li devi a te stesso.
CORSI Non sarai più mia nemica?
ANGELA Hai accettato la tua colpa, non ho più ragione di accusarti, di dirti che sei falso. Perché quelle cose che prima hai cercato come se fossero l'espiazione di una colpa che nemmeno volevi ammettere, ora le cercherai come gioia della vita.

Caspar David Friedrich, Donna all'alba
CORSI Ma non è troppo tardi?
ANGELA Troppo tardi per amare Claudia, questo sì. E forse anche per avere la stima di Manetti. Ma tu puoi ancora vivere, Tommaso. E non per forza alla fine trovi quello che ti eri imposto di cercare; magari trovi qualcos'altro, e ti piace lo stesso.
CORSI E cosa devo fare?
ANGELA Abbi pazienza. Si cambia davvero solo quando non ci se ne accorge.
CORSI Mi dispiace, Angela. Comunque vada, non smetterò mai di pensare a quello che ti ho fatto.
ANGELA Non ho più motivo di stare qui, ormai. Sii felice, Tommaso.
Si avvicina, gli prende la testa fra le mani e lo bacia sulla guancia. Poi sparisce.
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lunedì 10 ottobre 2011

All'amicizia- scena sedicesima

Manetti è seduto in casa al tavolo di cucina. Entra Claudia.
CLAUDIA (senza guardarlo in faccia) Mi spiace di averti fatto aspettare per la cena. Novità?
MANETTI Niente di particolare.
Claudia accende il fuoco, riempie d'acqua il paiolo, se ne versa un po' addosso, lo mette a bollire. Prende le patate dalla dispensa e comincia e tagliarle nervosamente.
CLAUDIA Hai fame?
MANETTI Dove sei stata?
CLAUDIA Dalla Francesca.
MANETTI Deve averti detto qualcosa di molto sconvolgente.
CLAUDIA Veramente no, perché?
MANETTI Claudia, cosa stai combinando?
CLAUDIA Eh scusami, ci avevo messo troppa acqua.
MANETTI Macché acqua! Il marchese chissà perché cambia idea e vuole dedicare il giardino all'amore; tu esci, torni tardi, non si sa dove vai...
CLAUDIA Te l'ho detto dove sono andata.
MANETTI E quando torni ti metti... sembra che tu le voglia ammazzare codeste patate.
CLAUDIA Ora non posso nemmeno tagliare le patate come mi pare?
MANETTI Claudia, mi dici come stanno le cose o no? Sennò te lo dico io. Ti diverti a farti sbavare dietro. Me cerchi di farmi ingelosire, col marchese ci giochi. Lo incontri, ci scherzi, lo fai sperare, lo attizzi, lo compiaci. Che vuol dire, Claudia? Dove vuoi arrivare?
CLAUDIA Fatti che supportino questo affascinante romanzo?
MANETTI Allora dimmi tu.
CLAUDIA Gli piaccio, lo sappiamo tutti e due. Ma so badare a me stessa.
MANETTI Cioè?
CLAUDIA Fra scambiarci due parole e infilarmi nel suo letto c'è una bella differenza.
MANETTI Cosa c'entra, Claudia? Ci fai soffrire tutti e due, come se fosse tutto un gioco, uno scherzo, come se nulla valesse nulla... Per cosa? Perché?
CLAUDIA Insomma, ci potresti scrivere un bel poema su questa storia! Peccato che tu abbia scelto l'architettura. Mi sembra che tu mi abbia conosciuta ora. Non mi diverto a far soffrire nessuno, cerco solo di essere civile.
MANETTI E come effetto della tua civiltà, il marchese fa cambiare la dedica del giardino e mi prende sempre più palesemente per il culo.
CLAUDIA Ma che ne so, se quello comincia a immaginarsi chissà che per i fatti suoi non è mica colpa mia.
MANETTI E quindi, insomma, sai tenere tutto sotto controllo. Sei prudente, sei matura, sai riconoscere il punto preciso in cui la civiltà diventa qualcos'altro, non ti sfuggirà mai la situazione di mano, non capiterà mai, neanche una volta, che il marchese si faccia un'illusione di troppo e magari gli venga in mente di realizzarla. Sei padrona degli eventi. I miei complimenti. (cambiando tono) Piangi?
Claudia continua a singhiozzare e a tagliare le patate.
MANETTI (facendola voltare bruscamente) Cos'è successo?
CLAUDIA E me la prendo con te, anche! E ti dico che hai torto! Scusami.
MANETTI Claudia, per favore spiegami sennò divento pazzo.
Claudia si mette a sedere al tavolo.
CLAUDIA Io pensavo di sapermela gestire! E' così gentile, è simpatico, dicevo, perché dovrei scappare da lui?
MANETTI (prendendole il mento con la mano) Ti piace?
CLAUDIA Ma che ne so? Non ho mai pensato di tradirti, comunque.
MANETTI Grazie, è una piacevole consolazione per il fatto che ami un altro!
CLAUDIA Ma chi t'ha detto che lo amo? E chi se ne importa, ormai, se mi piaceva o no!
MANETTI Ormai cosa?
CLAUDIA Ma non mi stare col fiato sul collo!
MANETTI Non cominciare a lamentarti ora di quello che faccio io!
CLAUDIA Io pensavo che... fosse incapace di fare del male, che se avesse preteso qualcosa di più... si vedrà, mi dicevo, me la sbrigherò in qualche modo.
MANETTI Sei scema. Credi che solo perché fa tutti quei discorsoni non abbia niente tra le gambe?
CLAUDIA Infatti...
MANETTI (prendendole con rabbia il viso tra le mani) Cosa ti ha fatto?
CLAUDIA Mi fai male.
MANETTI Cosa ti ha fatto?
CLAUDIA Sono scappata. Mi ha anche chiesto scusa, dopo.
MANETTI Beh, le buone maniere vanno sempre salvaguardate. Bene, domani vado a licenziarmi, questa volta per davvero. Ma anche tu, Claudia, te la sei cercata.
Va verso la porta.
CLAUDIA Giuseppe!
MANETTI Che c'è?
CLAUDIA Non voglio stare da sola.
MANETTI Non hai avuto paura ad andartene tutta sola dal marchese, direi che puoi stare un po' in cucina mentre io lavoro.
CLAUDIA Lavori a che, se ti vuoi licenziare?
Manetti la guarda, poi va da lei e la abbraccia.
MANETTI Mi dispiace, amore. A volte non capisco proprio nulla, eh?
CLAUDIA Mi disprezzi? Ti faccio schifo?
MANETTI Certo che no. Hai avuto paura?
CLAUDIA Tanta. Ma non avevo capito niente. Ero così convinta di saper capire la gente, e invece...
MANETTI Ma davvero ti piaceva?
CLAUDIA Non me lo ricordo più. Mi fa tanto schifo ora!
MANETTI Stai tranquilla. Non devi più aver paura di niente.
CLAUDIA Io amo te, Giuseppe. Ma sono stupida.
MANETTI Ma no, sciocchina.

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domenica 9 ottobre 2011

All'amicizia- scena quindicesima

Crepuscolo. Nel giardino la giornata di lavoro è finita; c'è solo il marchese, in piedi accanto all'esedra, in parte ancora da intonacare. Intorno ci sono pile di mattoni, strumenti da lavoro, lastre di pietra. Arriva Claudia. Il marchese le bacia la mano.
CORSI Pensavo che non sareste venuta.
CLAUDIA (stringendosi nello scialle) In effetti col freddo che fa... Per un motivo qualunque non sarei uscita di casa.
CORSI Potremmo andare nella limonaia se vostro marito l'avesse finita.
CLAUDIA Mi sembra che pretendiate un po' troppo da lui.
CORSI (ridendo) Beh, in effetti... Non gli conviene finirla, questo no.
CLAUDIA In generale... Forse lavorerebbe meglio se lo lasciaste un po' in pace.
CORSI Sospetta qualcosa, quindi?
CLAUDIA (sorridendo) Qualcosa di cosa?
CORSI Siete qui...
CLAUDIA Non per sentir criticare mio marito.
CORSI (le prende le mani e si sporge verso di lei) Avete ragione! Ma non posso non pensare che lui dorme abbracciato a voi, vi vede quando si sveglia, e può toccarvi quando vuole, parlarvi di quello che vuole, baciarvi quando vuole...
CLAUDIA (facendo un passo indietro) E quando lo voglio io.
CORSI Naturalmente.(continuando il suo discorso) Non riuscirei a non odiarlo, a non sentire il bisogno di parlarvene male, neanche se fosse un bravo architetto!
CLAUDIA Forse lo odiate perché lo è.

File:Giardino corsi annalena, panchina semicircolare.
JPG da wikipedia utente: Sailko

CORSI E perché dovrei? Ho... (abbassa la voce) abbiamo tutto l'interesse che costruisca un bel giardino. Semmai odio il fatto che lo consideriate bravo.
CLAUDIA Perché? La stima non è un fatto esclusivo.
CORSI Ma l'amore sì.
CLAUDIA Volevate parlarmi di qualcosa?
CORSI Di niente in particolare, mia cara. Solo permettervi di mantenere la promessa che mi avete fatto l'ultima volta che ci siamo visti.
CLAUDIA E non è stato mica tanto facile, sapete! Mi ci è voluto un po' a capire dov'era l'esedra con tutti questi vialetti che si attorcigliano.
CORSI Questo è un altro effetto delle idee dell'architetto.
CLAUDIA Già, voi volevate il viale, me l'aveva detto... E invece vi ha fatto un giardino dove ci si potesse smarrire.
CORSI E devo dire che ci sono dei lati positivi imprevisti... ad esempio, quando ci perdiamo gli altri non possono ritrovarci.
CLAUDIA Neanche se hanno progettato il labirinto?
CORSI Quello che si fa spesso ci sfugge di mano.
CLAUDIA La panca però è rimasta, come volevate voi.
CORSI Certo. Ci si stanca di più a smarrirsi che a seguire la via prefissata.
CLAUDIA Ma all'inizio non lo sapevate. Perché gliel'avete chiesta?
CORSI Perché due persone potessero sedercisi.
CLAUDIA Due amici.
CORSI Così pensavo quando illustrai la mia idea a vostro marito. In un'altra vita, ormai. E dicendo tutto questo continuo a farvi stare in piedi! Scusatemi.
Le fa cenno di sedersi.
CLAUDIA Sarà marmata, quella panca di pietra.
CORSI (afferrandola) Claudia! Non mi avete fatto languire abbastanza? Basta con le parole inutili!
CLAUDIA (cercando di scostare il viso; poi rinuncia e si lascia baciare sul collo) Ma fa freddo, eccellenza! Non si può nemmeno andare nella limonaia!
CORSI Non vi riscalda abbastanza questo corpo?
CLAUDIA Sono già stata fuori troppo, per stasera.
CORSI (spingendola contro l'esedra) Vostro marito è passato dallo scultore, me l'ha detto prima.
CLAUDIA Non è asciutta la calce, fate crollare tutto!
CORSI Smettila di parlare come la moglie di un architetto!
CLAUDIA Signor marchese, abbiate pazienza. Lasciatemi andare.
CORSI Perché?
CLAUDIA (per la prima volta veramente spaventata) Lasciatemi andare!
CORSI (con rabbia, sollevandole la gonna) No cara, per una volta fai quello che dico io.
Claudia cerca di liberarsi con uno strattone. Il marchese le tira uno schiaffo, allentando la presa. Claudia ne approfitta e riesce a divincolarsi.
CORSI Claudia! Non vi avrei fatta venire se avessi saputo che dentro di me c'era ancora questa bestia!
CLAUDIA Ma che bestia e bestia? Accidenti a quando sono venuta! E pensavo che foste un'anima nobile, cretina che sono!
CORSI Potrete mai perdonarmi?
CLAUDIA Statemi lontano! Ci credo che vostra moglie vi odiava! Ci credo che è morta!
Corre via.

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venerdì 7 ottobre 2011

All'amicizia- scena quattordicesima

Le siepi e gli alberi sono già stati piantati; è iniziata la costruzione della limonaia. Davanti a quest'ultima sono in piedi il marchese e Manetti.
MANETTI Tutte le sculture saranno collocate alla fine, altrimenti rischiano di danneggiarsi durante i lavori. Di Muse comunque mi dicono che ne mancano solo due...
CORSI Sarebbe gentile lasciarmele vedere, prima che mi ritrovi con nove statue di contadine ricoperte di pepli.
MANETTI Come vuole, eccellenza. Dirò allo scultore di aspettarla... un giorno che le va bene...
CORSI Ma... il ripostiglio per gli attrezzi su via dei Serragli?
MANETTI Quello su cui vuole scrivere all'amicizia? Stiamo per cominciare...
CORSI Non più all'amicizia, Manetti. Volevo appunto chiedervi di cambiare la dedica.

Giardino corsi annalena, serra.JPG da Wikipedia
utente: Sailko

MANETTI Cioè?
CORSI All'amore.
MANETTI Ah. Va bene. Sempre... in generale?
CORSI Non vi riguarda.

MANETTI Non volevo farmi i fatti suoi, eccellenza. Chiedevo se vuole far scrivere qualcos'altro dopo all'amore.
CORSI Vi ho detto altro?
MANETTI No.
CORSI E allora non voglio far scrivere altro.
MANETTI Ma il giardino... Rimane com'è? O vuole cambiare qualcosa?
CORSI La frase rimane com'è presupporrebbe che ora fosse, mentre a giudicare dallo spettacolo che mi circonda sembra trovarsi in una fase tra l'essere e il non essere decisamente tendente verso il non essere...
MANETTI Il progetto del giardino rimane com'è?
CORSI Sì.
MANETTI Intendo... all'amicizia, all'amore... uguale?
CORSI Vi dispiace esprimervi con frasi degne di questo nome?
MANETTI Mi scusi. Sono perplesso, suppongo.
CORSI Per cosa?
MANETTI Per cose che non mi riguardano. Spero.
CORSI Sperate?
MANETTI Beh, se... decidesse di cambiare qualcosa mi riguarderebbero... ma visto che ha detto di voler lasciare il progetto di partenza...
CORSI Non avete ragione di essere perplesso. Mi sembrate un po' fra il sonno, più che altro.
MANETTI In effetti dormo poco.
CORSI Perché?
MANETTI Questo, eccellenza, riguarda me!(agli operai) Non tirate via con quella calce! Ora vengo.

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giovedì 6 ottobre 2011

All'amicizia- scena tredicesima

Studio del marchese. Il marchese è seduto in poltrona; Angela in piedi guarda per terra.
CORSI Cos'hai da dire ora, mia dolce moglie? Sono veramente un uomo impossibile da amare? O forse sei tu che non hai avuto voglia di capirmi?
ANGELA (a voce bassa, più stanca che arrabbiata, continuando a guarda per terra) Offrirmi in sacrificio pur di ottenere una parolina di comprensione. Non solo è un gesto vigliacco, ma anche disperato, se mi consenti.
CORSI C'era ben più della comprensione in quello sguardo. Non puoi negarlo.
ANGELA Hai un bel dire che devo uscire dalla tua vita; poi però quando ti fa comodo non ti pare il vero di tirarmi in ballo.
CORSI Tanto dolore deve pur uscire da qualche parte, qualche volta! Comunque, è inutile che tu cerchi argomenti astrusi, Angela. Claudia mi ama; l'architetto, con tutte le arie che si dà, si è fatto scappare dalle mani senza neanche accorgersene l'unica cosa buona che aveva. La sua scempiaggine merita di essere celebrata e fissata per l'eternità.
ANGELA Cosa gli vuoi fare, poveraccio?
CORSI Gli ordinerò di cambiare la dedica del giardino. Non più all'amicizia, ma all'amore.
ANGELA E quindi?
CORSI E quindi, gli farò costruire un giardino consacrato alle sue corna, se mi perdoni il linguaggio trito. Sarà il teatro del nostro amore, una volta finito.
ANGELA E secondo te non si accorge di nulla.
CORSI E' troppo forte la sua sciocca presunzione che la moglie non possa desiderare niente di meglio che lui.
ANGELA Vabbe', credi quello che ti pare.
CORSI (alzandosi) Angela, dillo, forza, sii sincera. Pretendi di essere razionale, ma in realtà trabocchi di rancore.(girandole intorno) Dillo che l'avresti voluto per te il giardino, consacrato all'amore per te.
ANGELA Non invidio niente. Tempo sei mesi, quando ormai amare ti costerà troppa fatica, accanto al bosso crescerà l'insalata e le Muse cominceranno perdere le braccia.
CORSI (cercando di bloccarla; ma Angela si sottrae) Amare non è mai una fatica.
ANGELA Ti passerà l'entusiasmo per la novità, e correrai a rifugiarti tra i tuoi libri.
CORSI Io non sono incostante come tu sei stata.
ANGELA Ma io almeno ci ho provato! Io credevo davvero che potessimo amarci, che bastasse un po' di pazienza, un po' di dolcezza...
CORSI E l'hai dimostrata cercando di sconvolgere la mia vita!
ANGELA Per poco! Prima di annegare nell'ombra delle stanza morte. Ma che cos'ho fatto di male per farti così schifo? Che cos'ha questa Claudia per farti cambiare da così a così?
CORSI Lo ammetti alla fine?
ANGELA Cosa?
CORSI Che sono cambiato! E' inutile che tu continui a recriminare, non ti devo più niente. (questa volta riesce ad afferrarla, la tiene stretta per la vita) Prova a umiliarmi, ora. Qui ci sono i fatti, tu sei solo un fantasma.
ANGELA (perdendo il controllo, mentre cerca inutilmente di liberarsi dalla stretta sempre più forte) Non è vero! Io sono tua moglie!
CORSI Non hai saputo esserlo.
ANGELA Io sono sempre stata sincera. Claudia ti sta prendendo per il culo!
CORSI Come fai a dirlo?
ANGELA Lo so.
CORSI Sei ridicola.
ANGELA E tu come fai a dire che sono morta di febbre?
Corsi la prende a ceffoni e la sbatte contro il muro.
ANGELA Questo toccherà anche a lei, quando la butterai via!
Corsi la butta a terra e la pesta.

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martedì 4 ottobre 2011

All'amicizia- scena dodicesima

Sempre lo stesso vicolo della volta precedente. Il marchese vede Claudia camminare davanti a sé, la chiama.
CORSI Signora!
Claudia si gira.
CLAUDIA (inchinandosi) Eccellenza.
Osserva perplessa il marchese avvicinarsi.
CLAUDIA Le sono molto grata di aver richiamato mio marito.
CORSI Lui non sembra esserlo, a dire il vero. Ma l'importante per me è che ne siate contenta voi.
CLAUDIA Si sbaglia. Giuseppe ci teneva a finire il giardino, in realtà.
CORSI Se fosse così avrebbe dovuto farsi avanti lui. Farlo per voi, almeno.
CLAUDIA E' anche orgoglioso.
CORSI E questo vi piace?
CLAUDIA Beh, dipende dalle conseguenze.
CORSI Devo dedurne che in questo caso le conseguenze non vi facevano piacere.
CLAUDIA (sorridendo) Decisamente no.
CORSI (emozionato, perdendo la prudenza) E quindi... siete stata voi a convincerlo... a tornare?
CLAUDIA (alza le spalle con finta esitazione compiaciuta) Ne abbiamo parlato.
CORSI Cosa gli avete detto?
CLAUDIA Che il marchese è un uomo onesto e di certo lo riassume perché ha fiducia nelle sue capacità, non perché vuole legarci a lui con una concessione.
CORSI Non vorrei offendervi, ma le capacità di vostro marito mi sembrano mediocri.
CLAUDIA E quindi? Se l'è ripreso per pietà?
CORSI Pietà... Sì, forse pietà per chi è tanto cieco da non apprezzare... da non coltivare i doni che ha ricevuto dalla vita.
CLAUDIA I doni, cioè la vostra commissione.
CORSI Siete troppo sveglia per giocare alla stupida in modo convincente, signora.
CLAUDIA Non mi ha ricevuta, mi ha scelta.
CORSI Anche poter scegliere è un dono non scontato.
CLAUDIA Non capisco.
CORSI Non sono stato felice con mia moglie.
CLAUDIA Ho visto che non ne parlate volentieri.
CORSI Arida, viziata, piena di pretese. Avrei dato via il titolo e il patrimonio pur di poter scegliere la donna che mi sarebbe stata accanto.

Magritte, Il bacio bendato

CLAUDIA (sorridendo) E un momento dopo l'avreste rivoluto indietro. Siamo sempre più disgraziati degli altri.
CORSI Mi ha disprezzato fin dal primo momento. Perché curavo l'anima invece delle miserie mondane. Per cinque anni, completamente refrattaria a ogni mio tentativo di aprire un varco tra me e lei, mia nemica per forza, sempre e comunque.
CLAUDIA (avvicinandosi) Ma perché? Non siete riusciti nemmeno a essere amici?
CORSI Perché non la lasciavo inseguire... Cosa poi? I suoi sogni libidinosi.
CLAUDIA Quindi per andare d'accordo con lei... Avreste dovuto lasciare che vi tradisse?
CORSI (prendendole le mani) Non sapete, Claudia, quante volte in quegli anni ho desiderato una donna come voi... Non dico di possederla, mi sarebbe bastato che mi guardasse, mi sarebbe bastato sapere che ne esisteva una! Che il mondo non era solo Angela!
CLAUDIA E non lo è, infatti! E' pieno di gente capace di voler bene! E io non sono certo la prima.
CORSI Lo siete, per me.
CLAUDIA Cos'è successo a vostra moglie?
CORSI Febbre.
CLAUDIA Mi spiace che abbiate sofferto così tanto.
CORSI Quindi non vi dispiacerà rendermi felice?
CLAUDIA Per quello che è in mio potere.
CORSI E' tutto in vostro potere. Dipende tutto da voi!
Claudia abbassa gli occhi e sorride; il marchese cerca il suo sguardo.
CLAUDIA Anche la mia casa dipende da me, purtroppo! Ho lasciato tutto in disordine. Non credete che non voglia restare, ma...
CORSI State tranquilla, non voglio darvi problemi con vostro marito. Ma vi rivedrò presto, vero?
CLAUDIA Sì.
Il marchese le bacia la mano; Claudia se ne va.

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