domenica 11 dicembre 2011

I fiori blu

Siano sempre benedetti i consigli degli amici: per altre vie, mai sarei arrivata a scoprire questo delizioso romanzo scritto da Raymond Queneau nel 1965 e tradotto da Italo Calvino.
Cidrolin vive su una barca. Di lui sappiamo che è stato in prigione (per un errore giudiziario, dice) e che ha tre figlie (due sposate; la terza convola a nozze nel corso del libro con un non troppo convinto dipendente dei trasporti pubblici). Cosa fa Cidrolin nella vita? Beve essenza di finocchio, esaspera i passanti, dà indicazioni ai campisti che cercano il campo da campinghe poco lontano, cancella le parole diffamatorie scritte ogni notte sul bordo della chiatta da un vandalo misterioso. Principalmente, dorme.
Sogna di essere il duca d'Auge, signore feudale nella Francia del 1264. All'inizio, almeno: da una dormita all'altra, lo ritroviamo all'epoca della guerra dei Cent'anni, poi nel Seicento, poi alla vigilia della Rivoluzione Francese. Anche il duca d'Auge ha tre figlie; in più ha un cappellano (poi promosso vescovo) che si diverte a scandalizzare, un fido paggio, un cavallo chiamato Demostene perché parla. Anche il paggio ha un cavallo, chiamato Stéphane perché di poche parole. Come Cidrolin, il duca d'Auge non ha un granché da fare nella vita; si diverte però a riempirla con occupazioni fantasiose: batte le figlie, sperimenta cannoni, protegge un amico cannibale, sposa la figlia di un boscaiolo (salvo poi battere anche lei), ingaggia un alchimista. Mentre a Parigi infuria la Rivoluzione, lui sconvolge l'abate mostrandogli graffiti primitivi nelle caverne del Périgord. Fino al finale, che non svelo.
Detto questo, però, si affaccia una prima questione: è Cidrolin che sogna di essere il duca d'Auge, o è il duca d'Auge che sogna di essere Cidrolin? Su questa ambiguità tra realtà e finzione si basa buona parte del romanzo, in un continuo gioco di scambi, duplicità e coincidenze che rosicchia pian piano le certezze e gli schemi mentali del lettore. Per apprezzare questo romanzo bisogna abbandonarsi al continuo piacere dell'illogico e dell'inaspettato. Sia Cidrolin che il duca sono cultori del paradosso; anche se il primo rimane placido e amabile di fronte agli interlocutori confusi, mentre il secondo si offende, si infiamma e molla pedate a chi non è d'accordo.
Queste due vite senza scopo sono attraversate da considerazioni sulla storia, sul linguaggio, sull'esistenza. Questi dialoghi in realtà sono la punta dell'iceberg, sorridenti indizi per decifrare quello che c'è dietro a una storia scritta in apparenza solo per divertimento. Confesso che io ancora non ci sono riuscita; molte cose si intuiscono confusamente: insomma, non c'è bisogno di essere filosofi per scorgere tra le righe l'idea dell'inutilità della vita, della fuga dalla realtà, della mancanza di certezze e di basi solide su cui costruire (non a caso Cidrolin vive su una barca). A un mondo che non offre un senso né una spiegazione non si può che rispondere con lo sberleffo nonsense.
Probabilmente, poi, c'è molto altro. Ma anche lasciando perdere il sottofondo filosofico si può amare questo libro per la continua invenzione linguistica, per gli eventi banali stigmatizzati fino all'estenuazione e gli eventi incredibili trattati con la massima nonchalance, per i gesti quotidiani decostruiti come alla moviola, insomma per la capacità di presentare la realtà da un punto di vista straniato rovesciando continuamente le nostre aspettative.

Cidrolin e sua figlia Lamelia:

-Sapevano disegnare da maledetti, quei paleolitici lì. I loro cavalli, i loro mammut, ffuit... così, -(gesto).
-Tutti falsi.
-Cosa intendi dire?
-Sono tutti dei falsi.
-Ah! Se fossero dei veri falsi, si saprebbe.
-Io lo so.
-E come lo sai?
-Mah.
-Te lo sei sognato?
-E' un tale del Settecento che ha dipinto tutto.
-E perché l'avrebbe fatto?
-Per fare incazzare i preti.
-Scherzi, papà. sogni. Faresti meglio a comprarti la tivù, ti faresti una cultura.

Il duca d'Auge e il suo amico conte spagnolo:

-No. E' sulle pareti delle caverne che dipingo.
-Ma, Joachim, chi le vedrà mai, queste vostre opere?
-Gli storici della preistoria.
-Ecco un'esperessione francese che ignoravo. Che vuol dire?
-Ve la spiegherò più tardi. Ditemi, non conoscete qualche posto del genere dove possa esercitarmi?
-Ve ne sono proprio sulle mie terre,- rispose il Conte Alataviva y Altamira.

Insomma, dopo aver letto questo libro ho cominciato a chiedermi se tutta la letteratura, e la storia, latina e greca non siano in realtà state inventate per ingannare la noia del convento dai copisti medievali.

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