venerdì 6 aprile 2012

Quasi mai, suvvia

Il riassunto della mia giornata dell'altro ieri può servire da esempio di come, nel 2012, la ricerca di un brano possa ancora rivelarsi relativamente avventurosa. E anche di come un lavoro del genere sia molto più appassionante, e dia alla fine molta più soddisfazione di quella che avrei potuto ricavare cercando le corrispondenze interne nell'Estetica di Hegel su Google libri (che non esiste).
Andiamo con ordine. La mia professoressa di filosofia mi porta gentilmente l'opuscolo di Bodei di cui mi hanno parlato. Mentre lei segna le assenze, scorro velocemente le pagine e trovo il brano incriminato. Alla fine della lezione glielo mostro e lei mi consiglia di cercare l'Estetica nella biblioteca della scuola. (avanza anche il sospetto che io abbia letto l'opuscolo anziché seguire la lezione, ma io ho preso appunti e posso dimostrarlo).
Ora, per entrare nella biblioteca è richiesta l'autorizzazione scritta di un insegnante. La ottengo e la mostro ai custodi. Entro nella saletta A e scopro che i testi di filosofia sono nella saletta B (sì, la mia scuola avrebbe anche una biblioteca degna di questo nome se non fosse stata trasformata in teatro nell'Ottocento -teatro a sua volta inaccessibile perché in restauro da una decina d'anni). Mi faccio aprire la saletta B. Guardo tra Gadamer e Heidegger e scopro che tra le opere di Hegel non c'è l'Estetica. Presa dallo sconforto, esco ma una mia previdente compagna di classe mi fa notare lo schedario. Sì, di solito le persone normali lo consultano prima di guardare tra gli scaffali e non dopo, ma io a quanto pare avevo troppa fiducia nella capacità enciclopediche e classificatorie della mia scuola per pensare che l'Estetica potesse trovarsi due scaffali sotto le altre opere di Hegel. Come in effetti è. Con rinnovata fiducia vado a cercare il volume 1199 e scopro che i titoli da 1189 a 1200 sono spariti. Ormai però ho capito come funzionano le cose: guardo nello scaffale sotto e trovo l'oggetto del mio desiderio, privo di qualsiasi legame numerico o alfabetico con i due libri ai suoi lati. Comincio a sfogliarlo stando attenta a non leccarmi le dita (a questo punto c'è da aspettarsi qualunque cosa) e trovo l'indice analitico. I miei pensieri ormai si sono fatti sconnessi, comincio a cercare corrispondenze per Rossini, Sterne, humour ma non mi passa proprio per la testa di cercare sotto umorismo. Per fortuna, due pagine dopo un inutile (per me) brano su Cervantes trovo il paragrafo che cercavo. E nemmeno compare un bibliotecario pazzo a mangiarsi il libro: gioia infinita!
Perciò la sua attività principale [dell'umorismo] consiste nel far in sé decomporre e dissolvere, ad opera della potenza di trovate soggettive, lampi di pensiero e sorprendenti modi di concepire, tutto ciò che pretende di farsi oggettivo e di acquistare una forma fissa della realtà o che sembra possederla nel mondo esterno.
Ora non è esattamente quello che mi aspettavo: a questo punto penso che il discorso sulla fine di un'epoca sia una rielaborazione di Bodei sulla base di osservazioni sparse qua e là (anche se in qualche modo si può considerere implicitamente contenuto anche in questo brano). Il concetto sta a monte, è più generale e a pensarci bene  è proprio quello che cercavo come fondamento della tesina: il riso non serve, come dice Bergson, alla società per correggere l'automatismo e la rigidità degli individui, ma agli individui per spintonarsi tra loro e soprattutto dare una spinta alla società nel suo complesso, quando questa si stabilizza, si adagia e si propone come un sistema di valori assoluti (non è un'idea molto originale, ma d'altra parte non sto scrivendo una tesi di laurea).
Ora, Hegel è naturalmente diffidente verso uno strumento del genere -di qui i giudizi negativi che avevo trovato in un primo momento. Dedica solo un paio di pagine a un problema potenzialmente così importante nel suo sistema: dissolvere tutto ciò che pretende di farsi oggettivo, mica noccioline (anche se l'Estetica è stata sistemata dagli allievi, e vai a sapere cos'hanno combinato); fa attenzione a distinguere un umorismo autentico da uno piatto e banale; parla di un girovagare del tutto ingenuo, lieve, inapparente, è molto prudente (non si sa mai che a qualcuno venga in mente di far decomporre anche il punto d'arrivo di tutte le triadi, che per pura coincidenza è la sua filosofia).  Tutto ciò che è razionale è reale, la critica seria puzza un sacco, figuriamoci quella che fa ridere. 
Già, ma Hegel è pur sempre il filosofo della dialettica e, per quanto tenti di limitarlo e ridimensionarlo dopo la forza dell'affermazione iniziale, non può non riconoscere l'importanza di un principio che sta alla base del movimento. E infatti parla dell'umorismo nel capitolo sulla dissoluzione dell'arte romantica. C'era pur bisogno di qualcosa che spiegasse come si passa dal culmine di una triade all'inizio di quella successiva. Insomma, tornando alla questione se si possa dar fiducia a Hegel: ha detto qualcosa di molto significativo e interessante, suo malgrado.                        

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