mercoledì 4 luglio 2012

Ne pizzicau lu core mamma mia ci dulore

Dopo quarantacinque giorni di silenzio, dovrei forse parlare di Heidegger e Hannah Arendt, del letamaio nella versione di greco, delle regole d'impaginazione della tesina, della commissione che distribuiva confetti alla fine dell'orale o delle cose che affliggono me e le persone intorno a me (perché la maturità non è l'inizio, ma la fine della libertà -e nessuno ce l'aveva detto).
Invece parliamo della pizzica. Uno dei vantaggi dell'avere un'amica pugliese è poterla accompagnare a un concerto di musica salentina in trasferta a Firenze (La notte della Taranta, diretta da Ludovico Einaudi); perché è certo che, se non le avessimo regalato il biglietto per il compleanno, io da sola non avrei mai avuto il coraggio di andarci.
Ora, devo dire che il nuovo teatro dell'opera di Firenze è brutto. Un'enorme astronave bianca e grigia adagiata in fondo a un viale, lunghe fughe prospettiche spoglie e un po' inquietanti. La cavea  alla'aperto, dove si è svolto il concerto, è costruita sul tetto digradante  del teatro. Una bella idea, se non non fosse che quando il pubblico si è alzato in piedi a ballare il pavimento ha cominciato a oscillare. Dettagli.
La musica del Salento è coinvolgente e ossessiva, un patrimonio antichissimo reso vivo dalle reinterpretazioni moderne. Nell'orchestra c'erano anche strumenti africani e australiani (nonché -questo non me l'aspettavo proprio- una cornamusa pugliese). Dietro a questi ritmi ora malinconici ora indiavolati c'è una cultura pagana che il cristianesimo ha cercato inutilmente di reprimere; resti, forse, dei rituali dionisiaci, ma anche il dramma delle donne "tarantate" (possedute dal demonio per la società; in realtà il "morso della tarantola" era lo sfogo isterico delle violenze domestiche). La cultura popolare ha esorcizzato questo lato oscuro traendone una danza piena di vitalità, dove tutti ballano con tutti in un momento di grande libertà.
Tra le voci dei cantanti, ce n'è una indimenticabile: Enza Pagliara, non a caso la cantante preferita della mia amica. Una donna alta, con i capelli neri, il viso scavato, non bella ma come animata da una nobiltà selvaggia. Urla senza stonare con una voce tagliente, a tratti dolorosa, ma sempre piena di energia. Mentre canta fa ondeggiare le braccia con movimenti lenti, come cercando continuamente un nuovo equilibrio,  o attirando il pubblico a sé.
Ludovico Einaudi, piemontese con la paglietta prestato alla musica del Sud, suona il piano, muove le braccia, incita il pubblico. Guardandolo vine da pensare: ecco un uomo che si diverte a fare il suo lavoro. E vorrei anche vedere.

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